LE SETTE CHIESE

Filippo Neri (Firenze 1515 – Roma 26 maggio 1595, canonizzato nel 1622), chiamato "l’apostolo della città di Roma" di cui è compatrono, ebbe una buona istruzione e fece pratica nello studio notarile del padre. 

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«San Filippo Neri»

All’età di 18 anni si recò a Roma e visse per 17 anni come laico, facendo il precettore, studiando filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione e nel 1538 cominciò a lavorare tra i giovani della città. Diceva spesso loro: state boni se potete

Fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio (Filippo promosse le 40 ore) per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti e che diedero gradualmente vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di San Sebastiano, dove nel 1544 durante la veglia di Pentecoste, sperimentò un’estasi d’amore divino sul suo cuore "cuore di fuoco". 

 Nel 1551 fu ordinato sacerdote e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di San Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore, gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua preoccupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani. Filippo devoto mariano e lettore dei Padri della Chiesa, costruì un oratorio sopra la chiesa. 

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«San Filippo Neri "papà" degli oratori»

In esso si tenevano conferenze religiose e discussioni, si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e dei bisognosi, furono celebrate per la prima volta funzioni consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate, da solisti e da un coro. L’attività dell’Oratorio, luogo di incontro e palestra di formazione, centro di irradiazione d’arte, aveva la preghiera assidua, la riconciliazione, l’eucarestia frequente, il contatto quotidiano con la parola di Dio, la devozione mariana, il servizio e l’esercizio fecondo della carità fraterna, lo studio dei santi, l’istruzione sacra e profana, tra l’altro da qui si costituisce la biblioteca Vallicelliana.

Filippo riprese un’antica tradizione del VII secolo, caduta in disuso, consistente nella visita a sette chiese di Roma.

Questa visita si era originata quando le scorrerie dei Saraceni (634-5) e poi la conquista araba della Terra Santa (636-1099) non consentivano un pellegrinaggio sicuro. Nel 667 si celebrava il VI centenario degli Apostoli Pietro e Paolo per cui il Videre petrum si rafforzò anche in virtù del formarsi del patrocinio dei santi. All’apostolo Pietro Gesù gli ha conferito un potere specifico, il potere delle chiavi, che designa l’autorità per governare la casa di Dio che è la Chiesa. Gesù, infatti, ha detto:

Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia chiesa.

I pellegrini, dunque, passarono dalla Gerusalemme esteriore a quella interiore e immaginata di Roma.

Filippo in un primo tempo andava da solo come pellegrino alle sette chiese di notte con un tozzo di pane, qualche libro, leggendo a lume di candela (come nel deserto dei Padri). Le sette chiese per lui era l’emblema del suo apostolato nel pregare nelle strade e portare il nome di Gesù nelle piazze di Roma.



Filippo interpreta il suo tempo in cui si cerca di proporre la devozione alla passione di Gesù. Siamo nel tempo del Concilio di Trento in cui egli è per il primato della carità più che per il rigorismo riformista. Filippo consiglia la mendicità in spirito: "È ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l’immaginarsi di essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei santi […] E ciò si faccia alle volte corporalmente, andando ora alla chiesa di questo santo ora alla chiesa di quell’altro a domandar questa santa elemosina"[1].

La visita alle sette chiese fu uno strumento provvidenziale per la riuscita del Giubileo 1575  ovvero il primo dopo il Concilio di Trento (1542-63).

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«Le sette chiese di Roma con le loro principali reliquie stationi et indultie»
British Museum, Public domain, via Wikimedia Commons

Nel 1552 inizia la visita alle sette chiese con venti persone, era il Giovedì Grasso, quale alternanza al carnevale. Il numero andò crescendo a qualche migliaio. Prima tutto si svolgeva in una giornata e poi in due giorni con sette ore di cammino. Si partiva da San Girolamo, ponte Sant’Angelo, San Pietro. Il giorno dopo si dava appuntamento a San Paolo verso San Sebastiano messa e la merenda. Col tempo la refezione a Villa dei Crescenzi e quindi a Villa Mattei (Celimontana, dipinto di anonimo del Settecento. Si proseguiva per San Giovanni, San Lorenzo e Santa Maria Maggiore. Con la costruzione della Chiesa Nuova "Santa Maria in Vallicella" si partiva (il primo giorno) da lì per raggiungere San Pietro per darsi appuntamento il giorno dopo, la mattina presto, a San Paolo.

Le tappe erano scandite dai dolorosi viaggi nella Passione e dalle sue sette effusioni di sangue: circoncisione, sudore nell’orto del Getsmani, flagellazione, corona di spine, crocifissione delle mani e dei piedi, apertura del costato.

A loro volta le tappe nelle chiese erano le meditazioni sul percorso di Gesù: dal cenacolo al Getsemani (Vallicelliana-San Pietro), l’agonia di Gesù e l’interrogatorio nella casa del sommo sacerdote (San Pietro-San Paolo), dal Sinedrio alla flagellazione (San Paolo-San Sebastiano), da Caifa a Pilato con l’incoronazione di spine (San Sebastiano-San Giovanni),da Pilato ad Erode, la via crucis (San Giovanni-Santa Croce), da Erode a Pilato, la crocifissione (Santa Croce-San Lorenzo), da Pilato al Calvario, effusione di sangue del costato (San Lorenzo-Santa Maria Maggiore). Nella Basilica di San Lorenzo (catacombe di Santa Ciriaca) è anche il protodiacono Stefano.

Le tappe delle sette chiese avevano lo scopo di chiedere i sette doni dello Spirito Santo (intelletto, consiglio, sapienza, scienza, pietà, fortezza, timore di Dio) le corrispondenti virtù (carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mansuetudine, fede, modestia, continenza, castità) e compiere le sette opere di misericordia (corporali: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti; spirituali: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e i morti) e per la liberazione dai sette vizi capitali (superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia) che generano altri peccati.

La visita alle sette chiese era un cammino simbolicamente sintetico di tutto l’Orbe cristiano.

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«Roma nel 1600 con le Sette Chiese -  Giovanni Maggi»

Quattro basiliche rappresentavano le sedi patriarcali del mondo antico: San Pietro (Costantinopoli), San Paolo (Alessandria), San Lorenzo (Gerusalemme), Santa Maria Maggiore (Antiochia).

Su di esse sovrastava la basilica di San Giovanni, che era sede del sommo pastore, che tutte riassumeva.

Le basiliche di San Sebastiano e di Santa Croce completavano il mistico senso del numero sette.

Sisto V (1585-90), nella Bolla Egregia Romani Pietas, collega le sette chiese all’Apocalisse di San Giovanni, figura della Chiesa universale che Dio arricchisce con i sette doni dello Spirito Santo.

Alla partenza del cammino, Filippo proponeva la ricerca della sola gloria di Dio e faceva memoria dei santi viaggi dei Padri della Chiesa: il passaggio del mar Rosso, l’uscita di Abramo dal paese dei Caldei, il cammino dei Magi al seguito della stella cometa.

Il pellegrinaggio delle sette chiese fu un pellegrinaggio "aperto" a nuove tappe (Sant’Onofrio, Quo Vadis, Scala Santa, Santo Stefano Rotondo, SS. Nereo e Achilleo…) ed anche alla visita ai malati dell’ospedale di Santo Spirito.

Due elementi centrali del cammino erano la devozione mariana (il Magnificat accompagnava l’ingresso a Santa Maria Maggiore) e la gloria della croce (Fulget Crucis Mysteriun si cantava a Santa Croce al momento dell’ostensione delle reliquie). Nel cammino c’erano inni, canti, preghiere, giaculatorie, riposo, musica, merenda. Questo scenario definì Filippo come “il santo della gioia" perché è dal mistero pasquale della morte e resurrezione che sgorga incontenibile e contagiosa la gioia cristiana. Gioa di essere liberato delle vanità, che circonda i valori del mondo. Gioia del dare, servire Dio in letizia. Questo cammino è considerato anche nell’aspetto sociale come una chiamata alla partecipazione, condivisione e corresponsabilità dei laici nella Chiesa. Filippo riteneva che il sentiero della perfezione fosse aperto a tutti, tanto ai laici quanto al clero, ai monaci e alle monache.

Filippo è il fondatore della Congregazione dell’Oratorio detti Filippini o Oratoriani.

Tra i santi che hanno percorso le sette chiese c’è San Felice da Cantalice ofm cap (1515-87) che fu suo amico, San Carlo Borromeo e San John Henry Newman (1801-90) cardinale oratoriano.

Nel 1870, nel pieno del clima risorgimentale, la visita alle sette chiese fu vietata (1850 giubileo non indetto e nel 1875 giubileo a porte chiuse) per alcuni anni. La ripresa avvenne con la conciliazione del 1929. Nel 1937 il pellegrino cardinale Eugenio Pacelli (Pio XII) dice: "Così con grande arcano del numero stesso sette chiese in Roma si stabiliscono, acciò più chiaramente apparisse l’unione e la perfezione nel capo istesso, donde dimana l’unità delle chiese tutte".

Filippo fu anticipatore del Concilio vaticano II (1962-65) ed oggi nel solco di Papa Francesco, Filippo ci guida ed ascolta la nostra speranza.



Letture consigliate

Coen Paolo, Le sette chiese, New Compton, Roma, 1994

Guarrera M.G (a cura di), Via delle sette chiese: un percorso storico, archeologico, paesistico, Gangemi, Roma, 1997

Venturoli A., Visita alle sette chiese, Fanucci, Roma, 2006


Approfondimenti 

La Visita alle Sette Chiese [ VIDEO parte 1 ] [ VIDEO parte 2 ]

Il Pellegrinaggio delle sette Chiese [ sito ufficiale del Giubileo 2025 ]

Procura Generale della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri [ sito web ]



[1] https://www.oratoriosanfilippo.org/massime-sanfilippo.pdf